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giovedì 6 febbraio 2014

Giù la maschera! La troupe di "Celestina" incontra il pubblico del "Piccolo"


Si è svolto ieri pomeriggio al chiostro del "Piccolo Teatro Grassi" di Milano l'incontro fra il pubblico e la compagnia di Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume.
A campeggiare fra la schiera dei giovani colleghi, una Maria Paiano, interprete di Celestina, che smessi trucco e parrucco si è mostrata in tutta la sua straordinaria semplicità e dolcezza. Viene quasi da chiedersi se sia proprio la stessa donna che la sera prima ha indossato i panni della megera fattucchiera...
Intensa la sua interpretazione, impegnativo l'uso della parola e della modulazione vocale. E a proposito della parola e del testo, la stessa Paiano riferisce di una "speleologia delle parole", come lavoro fondamentale svolto dalla troupe insieme al regista Ronconi sul testo di Garneau e sul tema originale di Rojas. Maria Paiano sottolinea come l'obiettivo del lavoro sul personaggio di Celestina sia stato, secondo le indicazioni di Ronconi, quello di "ripulirla dall'immagine di vecchia strega". "Celestina, infatti," spiega ancora la sua interprete, "non è un essere immondo. Entra in ambienti opposti rispetto alla sua anima", mostrando il suo "aspetto camaleontico" e "un momento di commozione intima" al triste ricordo della passata gioventù.
In questi giorni la Paiano fa i conti con la voce che dice essere "molto provata". Paragona, infatti, l'avventura di Celestina alla scalata di una montagna: "Mi restano ventidue scalate fino al 1° marzo, poi sono a posto!"

E' Licia Lanera ad interpretare Elicia, figlia sfaticata di Celestina. Per Licia, Elicia è il debutto al "Piccolo". Abituata ad un altro tipo di teatro, sottolinea come "in uno spettacolo del genere, in una sola battuta siano condensate mille frasi del teatro contemporaneo".

Lucrezia Guidone, l'avvenente Melibea, amante di Calisto, spiega: "E' bello iniziare lo spettacolo da morta: hai tempo di sentire che situazione c'è." E a ragion veduta definisce il suo un personaggio a "temperatura variabile". Citando il maestro Ronconi, ricorda, infatti, che questa non è una storia d'amore, ma di perdizione, in cui l'integerrima fanciulla di buona famiglia scopre il desiderio e si fa travolgere da esso fino alla morte. Eros e Thànatos percorrono, infatti, tutto lo spettacolo secondo i dettami del teatro greco, mentre tragedia e commedia non lasciano mai definitivamente il posto l'una all'altra sul palcoscenico.

Quando lo sguardo azzurro di Paolo Pierobon, alias Calisto, ardente amante incrocia il pubblico, lo fa per presentare la sua Melibea, come lui, Calisto, la vede: "Melibea come entità teologica" all'inizio dello spettacolo, donna divinizzata alla maniera tipica dell'amor cortese, condito però da passione bruciante, per divenire, infine, dopo aver assaporato i piaceri della carne, "pollastra da spiumare". Pierobon evidenzia il dramma di Calisto, il suo rapporto con il servo Sempronio che svela una sessualità non identificata e un'infelicità che sembra non essere placata nemmeno dal possesso dell'oggetto bramato (Melibea), che lui in quanto "ebreo converso" può illecitamente scopare e non può lecitamente sposare.

Fausto Russo Alesi è Sempronio, servo di Calisto. Del suo personaggio svela:
"Sempronio è un servo atipico, ha un predominio sul corpo del padrone [quasi una hegeliana dialettica servo - padrone. N.d.R.]. Quando lui [Calisto] si innamora di  Melibea, ha un senso di rivalsa, rancore, ha un senso di perdita. In questo spettacolo tutti hanno bisogno degli altri, ma a proprio uso e consumo."
A proposito del linguaggio, Fausto precisa: "Si tratta di un testo drenato, che ha la capacità di restituire con una parola molto di più."

E' la volta di Parmeno, il giovane servo interpretato da Fabrizio Falco, che lo definisce come un "moralizzatore che si lascia corrompere." Falco sottolinea come in Celestina sia presente un tema da lui definito "contemporaneo" e cioè quello del desiderio che nasconde un vuoto esistenziale e che inevitabilmente conduce all'annientamento e alla morte. I personaggi cercano disperatamente di ottenere qualcosa, ma una volta ottenuta, non sanno che farsene e la distruggono. Interviene Pierobon:
"L'amore è possibile solo nell'istante della memoria" e cita il suo Calisto: "Conserverò memoria eterna di questo istante",  sottolineando che "l'amore esiste o nel desiderio o nel ricordo."

Gli attori hanno finito. Riprendono in mano le maschere. A breve li attende il trucco e poi ancora la scena. Fra il pubblico entusiasmo e come sempre qualche benpensante. Una professoressa si chiede se lo spettacolo sia adeguato alla sua classe di quinta superiore. Teme i suoi ragazzi possano prendere cattivo esempio dai comportamenti licenziosi dei personaggi. Gli addetti ai lavori, imbarazzati, strabuzzano gli occhi e rispondono, per bocca del giovane Falco, che il teatro, fin dalla sua origine, ha un ruolo catartico e che i suoi ragazzi su youtube reperiscono ben di peggio.

Una domanda mi ronza ancora nella testa.
Incrocio lo sguardo azzurro di Pierobon  mentre sta per andare via e lui è così gentile da saziare la mia sete. Gli chiedo come si lavora col corpo in uno spettacolo in cui la gestualità è per il suo personaggio più espressiva della parola. Paolo mi parla di concentrazione, del tipo di lavoro abituale con Ronconi che porta a curare molto qualunque aspetto della comunicazione, verbale e non, e poi riferendosi al ruolo di Calisto, mi spiega cosa accade sul palco: un lasciarsi andare al puro istinto, al recupero del corpo e della sensazione, così come nella vita di tutti giorni non facciamo mai.
Lo ringrazio incrociando ancora quello sguardo intenso e lascio il chiostro del "Piccolo" soddisfatta per aver sbirciato per un'ora sotto le sue maschere.

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